Angela Cavelli

psicoanalista e scrittrice...
un sito per leggere, sognare, condividere...

Come sono noiosi quando parlano di Te
e Ti rispettano solo a parole…
E Dio disse: "È ora di piantarla
di rifilare minestre divine".
Non aggiunse altro perché si addormentò.
di Angela Cavelli

Romanzi

chi è Vaga? E come
l'avrà conosciuto mai il
Gatto con gli stivali?

Parte Capitolo 1°
CAPITOLO PRIMO



La donna stava in piedi davanti alla porta del metro'. Si specchiava nei vetri scuri, considerando, come al solito, viso e figura.
Si fermo' sulle ombre che marcavano il suo volto e sulla giacca che non scendeva aplomb sui fianchi. I riccioli dei capelli scoppiavano in tutte le direzioni e si gonfiavano a chiocciola sulle tempie, come avessero da ricomporre un'antica forma.
Con un' indagine muta, in cerca di una valutazione, si chiedeva, a mo' di Narciso, che impressione facesse la sua presenza in quel carrozzone sotterraneo e guardava le figure sedute, o mezze distese, se non proprio sdraiate, perse in un rito solitario e quotidiano o in attesa di incontri sorprendenti..
" Vorrei che tu mi dicessi che sono bellissima e intelligentissima " aveva chiesto vent'anni prima ad un signore gentile che, con qualche variazione impercettibile e perdonabile dei modi, le apriva la porta del suo studio per farla accomodare su un divano duro, con braccioli a voluta, che aveva per cuscino un fazzoletto di seta.
Lei veniva dalla provincia e per molti anni quei viaggi da Borgo Lombardo a Milano erano stati un segreto malcelato e a volte presentato come una chicca.
Le piaceva correre da quell'uomo alto e asciutto, misurato nelle parole, che vestiva "da camera", con giacche in velluto o broccato, senza cordone, ma con revers viola o vinaccia, sempre impeccabile, appunto signore.
" E se te lo dicessi, che succederebbe? " aveva risposto allora l'uomo, lasciandola muta a morsicarsi quelle labbra che, per un patto stipulato in segreto tra loro, dovevan dar parola ad ogni idea, impressione, pensiero che le sorgevan da gennaio a dicembre.
Non pareva esser stato gentile con la donna e neppure perche' eran cambiate le usanze e le femmine s'eran dette streghe e non piu' signore.
" Non sono gentile " aveva detto " non son qui per questo ", facendole capire che lui non stava in quello studio per danzare il minuetto o suonare il clavicembalo di corte.
Torno' improvvisamente all'oggi.
Un ragazzo stava appoggiato al sostegno schiacciandole le dita. Vaga reagi' con stizza, togliendo la mano con un gesto calcato. Sorrise, pensando a Bino, suo marito da diciotto anni, che soleva dire: " L'avete voluta? Tenetevela! Vi aprivamo le porte, ci toglievamo il cappello, ci alzavamo in piedi quando entravate, ma vi siete sentite come il proletariato urbano quando e' arrivata l'Internazionale e adesso siete ridotte a litigar con le nonne che, essendo sorde, non han sentito passar la rivoluzione e continuano a rammendar calzini per noi! "
Dal fondo della vettura avanzo' un uomo magro, spingendo una carrozzina. Si fermo' e suono' due note nel flauto e poi, a mano aperta, si mise davanti ad ogni passeggero,aspettando il dovuto. Vaga ebbe compassione del povero padre, che immagino' zingaro e iugoslavo, ma non aveva voglia di togliere i soldi dalla borsa, non si fidava e, disordinata com'era , avrebbe dovuto levare banconote e scontrini arrotolati per scovar le mille lire.
Arrivo' il suo turno e Vaga non pago'.
L'uomo le passo' sui piedi con la carrozzina.
Non le era rimasta la liberta' d'esser buona. Ricordo' che in treno, tempo prima, un barbone l'aveva guardata in malo modo perche' ella aveva cambiato posto per via di un olezzo forte che la faceva salivare . Se l'era visto, poco dopo, davanti, che appoggiava la borsa a rete, lurida e piena di cartoni, sulla sua gonna bianca ." Perche' lei deve aiutarmi, ho da metter quest'altro cartone nella borsa e non so dove appoggiarla " aveva detto.
Vaga scese dal metro' e s'avvio' verso il pullman che l'avrebbe di nuovo portata a Borgo.

Entro' in casa giusto in tempo per vedere i figli uscirne.
" Abbiamo una partita all'oratorio, torneremo alle otto".
"Vi siete lavati?" aveva chiesto la donna come per acquietarsi in quel ruolo di madre che aveva lasciato vacante nel pomeriggio e l'insensatezza della domanda era dovuta ad un accordo muto tra loro: ognuno al suo posto, Dio per tutti. Da brevario retorico materno, insomma.
E da ragazzi a modo era stata la risposta: " Ci siamo solo cambiati: mutande e maglietta.Le calze no, quelle le teniamo. Ci laveremo dopo la partita ".
Avevano una certa riservatezza per le calze smesse: le tenevano nascoste sotto il letto o il cuscino o nelle borse sportive.
"Anche le mutande? Ma avrete preso freddo! " era stato il commento ironico di Vaga.
L'ascensore nello scendere ebbe un sobbalzo: Marco e Lucio dovevano aver cominciato a "dialogar con le mani".
Stavano con Vaga e Bino da ormai dieci anni, dopo una telefonata da una USSL di Bentola : "Il giudice del Tribunale dei Minorenni ci ha incaricato di proporvi un affido, forse un'adozione." E s'eran cosi' visti presentare, a dire il vero solo sulla carta, quattro fratellini dai due agli otto anni.
" Noi ne desideravamo proprio quattro " aveva detto Vaga dopo aver dato un'occhiata a Bino che stava in silenzio e che ogni tanto s'arrischiava ad entrar nel vivo del discorso con puntatine intelligenti. Doveva aver imparato all'oratorio ad ascoltare molto , prima di parlare.
" Vede, non mi spaventa il numero dei figli, anzi mi rallegra: mia madre ne ha partoriti sei e ci ha allevato tutti. Io sono gemella di tre..." e aveva atteso che l'assistente sociale approvasse felice, come se in quel fatto Vaga avesse messo del suo.
Ma per punizione, perche' Vaga avrebbe potuto affezionarsi maggiormente ai due bimbi piccoli che ai grandi, questa almeno la teoria psicologica dell'assistente sociale e della psicologa, erano entrati in casa solo Marco e Lucio che non avrebbero piu' potuto rivedere i fratellini.
Vaga usci' di nuovo: la suocera Teresa l'attendeva davanti ad un caseggiato popolare, abitato da meridionali inurbati che eran divenuti per cultura forzata dei maniacali protettori
del suolo pubblico dell'Istituto Autonomo Case Popolari.
Teresa stava sul cancello con la borsetta nera infilata sul braccio ripiegato e quei suoi capelli dalle punte bizzose color biondo platino le davano un'aria da tedesca in riposo.
Oltre il cancello si estendeva un prato all'inglese con vialetti di beole. Nel centro, su un sostegno a forma di conchiglia, stava una bianca Madonna con una fascia azzurra, ammessa tra i condomini durante un incontro informale in cui, senza indire un'assemblea ordinaria o straordinaria, s'era deciso d'esaudire un'inquilina che, per via di una grazia ricevuta, aveva fatto un voto.
Non tutti erano stati d'accordo e un signore dal passato ardente aveva mosso causa alla maggioranza perche' anch'egli desiderava erigere una statua, ma a Lenin, che gli aveva ridato l'identita' perduta: lui ora sapeva chi erano gli amici e chi i nemici.
Teresa immobile e impettita stava accanto a grossi bidoni dei rifiuti dai quali penzolavano sacchetti maleodoranti. Intorno a lei un gruppetto di bambini schizzava in tutte le direzioni, ma non s'azzardava a calpestar il prato che era suolo interdetto ai " non inglesi"
L'anziana donna, all'arrivo di Vaga, si mosse e ando' verso una macchina piu' vistosa di quella della nuora; venne richiamata e sali'.
" Sono venuti quelli di Genova, i Testimoni, ma non mi hanno invitato ad un matrimonio. Mi hanno detto che presto verra' la fine del mondo , allora io ho chiuso le finestre, cosi' non si rompono i vetri. Hanno anche detto che la Madonna ha avuto tanti figli, ma io non li ho conosciuti. E poi, Vaga, io che peccati faccio? Mi sembra di non farli. Al prete ho confessato
che dico: - Porco diavolo ! - , ma che non sempre lo dico, qualche volta si' . E lui- Mi dica quelli grossi- Ma io non ho fatto niente, vero Vaga che non faccio peccati? "
Vaga guidava in silenzio, mentre la candida colomba cinguettava in pace.
A casa organizzo' la cena, mentre Teresa guardava il cielo per chiedere a qualcuno non presente se il tempo avrebbe tenuto e poi, per un'improvvisa reminiscenza di guerra, l' anziana donna s'arrischio' a dire ;" Posso vedere il bollettino? ".
" Accendi pure" aveva risposto Vaga, pensando che Qui Radio Londra doveva essere ancora un interlocutore per la suocera che aspettava sempre la Liberazione.
I ragazzi s'eran rinchiusi in camera con lo stereo posto sul balcone a tutto volume, forse per un desiderio di comunicare alle giovani condomine quelle parole d'amore e di sesso che nessun ragazzo normo-dotato avrebbe mai pronunciato.
Vaga li chiamo' per la cena: Bino era in viaggio per lavoro e Teresa preferiva un pasto-merenda all'ora del te'.
" La preghiera.. " sussurro' Vaga.
" Basta il segno della croce, altrimenti diventa freddo tutto " spiego' giudiziosamente Lucio.
" Non dobbiamo dire il rosario......" rispose Vaga
" Voi donne tutte casa e chiesa che non capite,,,,,, se io vado a dire al mio amico Coco' che prego, mi dice se mi pagano..."
" E' meglio essere originali " aveva concluso la donna, iniziando la preghiera.
" Cosa vai a fare a Milano tutte le settimane? " butto' li' Lucio per un'improvvisa curiosita'.
" Lavoro con una persona. Faccio l'analisi".
" Delle urine o del sangue?"
" Della psiche"
" Ti paga ?"
" No, pago io "
" Vai dai sindacati, perche' mi hanno detto che queste cose non si fanno. E poi chi e'?"
" Uno psicanalista. Ci vado da vent'anni".
" Ma allora, cura i matti!"
" Aiuta quelli che non vogliono diventarlo" rise Vaga.
C' era andata, infatti, anche quel giorno da Lui, dal dottor Blasi, suo Maestro per elezione dal lontano 1971, come ogni settimana di tutti i mesi dell'anno, da vent'anni.
Al tempo dell'Universita' aveva deciso d'iniziar l'analisi con Lui, perche' nella sua vita piu' di una cosa non era andata per il verso giusto : a trent'anni la maturita' del suo corpo reclamava una vita meno vaga.
L'ultimo incontro era avvenuto proprio quella mattina in cui Blasi l'aveva lasciata con i compiti delle vacanze.
" Coltiva il tuo giardino" le aveva detto enigmaticamente.
Dapprima ella aveva pensato di metter mano all'aratro e alla zappa con i quali avrebbe potuto rassodare il terreno incolto di una sua proprieta' in Liguria, dove le viti s'erano ormai abbrancate agli olivi, rimasti i loro unici sostegni e la terra s'era coperta di rovi spinosi, tenaci come il bosco di liane in cui giaceva la Bella Addormentata.
Poi Vaga s'era vista aprire un universo familiare: avrebbe aperto occhi e orecchie davanti ai fatti che le si presentavano perche' erano ormai di sua competenza e qualcosa di buono
ne sarebbe uscito.
Sparecchio' la tavola. Fremeva.
Tiro' fuori le care carte del suo romanzo e desidero' vederne la conclusione.
Era " carica " e le sembro' di potercela fare, di piu' , lo vide gia' finito, quasi in vetrina.
Ne sapeva la trama, ne ripercorreva le linee, le mancava di ricostruirlo, nutrendolo dell'eccitazione delle scoperte fatte.
" Apriti alla realta', Vaga, o quella o il nulla", ecco le parole che avevano dato il timbro definitivo alla sua vita, perche' eran state pronunciate da Blasi, in cui lei confidava.
Si mise alla macchina da scrivere: procedeva sicura, malgrado i dubbi stilistici ; poi si fermava e i ricordi emergevano. Lavoro' d'aghi e di forbici, aveva fatto la sartina da ragazza e le erano rimasti gli strumenti, annotando i pensieri che venivano alla luce, calamitati da una bussola misteriosa che dava la direzione da seguire, perche' la storia arrivasse la', dove Vaga desiderava.
Continuo' cosi' per giorni e per notti. Un'amica, fata per vocazione e maestra per pane, l'aiutava.
Vaga non ebbe bisogno di farsi legare alla sedia, come Alfieri, che suo padre le aveva sempre portato ad esempio, e allora lei, tentando di emularlo, aveva spesso fatto dello sforzo di volonta' la molla per girare a vuoto nella vita.
Ora che provava piacere nello scrivere, giudicava quel " Volli, sempre volli, fortissimamente volli " il sintomo di un problema vocazionale di uno che navigava verso il ricovero coatto.
Vaga, dopo un mese, si trovo' tra le mani un malloppo di duecento e piu' pagine, emerso cosi', quasi per caso, in momenti di dolce ricerca, distratta e illuminata.
Aveva tramato per giorni, seguendo tracce improvvise, come un cane da tartufo: ora quelle parole, che da tempo cercavano d'uscire, s'erano unite in un intreccio romanzesco : era stato il suo modo per dire che anche lei era nata ed era " passata di qui".
Altre compagne di scrittura eran state la suocera , la sua artrosi e le teorie sulle cause della malattia.
Seduta su una poltrona accanto alla finestra, Teresa bofonchiava sordamente e, ogni tanto, alzava il tiro : " Sto male, sto proprio male, l'e mei muri'. Sara ' l'upperazione che ho fatto
all' intistino e il male s'e' spostato in basso. O forse e' il latte che ho preso ieri sera che e' arrivato alle ginocchia .Magari perche' sono grossa di pancia ? Ma e' costituzione: l'aveva mio padre che mangiava un pollo tutto da solo e beveva due buttiglioni al giorno. Era forte, mio padre, e la mia madrigna era piccola e minuta. Guai a dir male di lei : a uno il mio papa' ha staccato un braccio.
Io curavo il piccolino della mia matrigna e lavavo la roba al torrente: avevo dieci anni , la mia mamma era morta per fame durante la Prima Guerra perche' i soldati ci portavano via tutto. Lavavo e tenevo il bambino che un giorno mi e' caduto nel torrente: io volevo pulirle la faccia alla mia pupolla. Me l'ha salvato una donna. Pulivo anche le pentole, ma la mia seconda mamma non voleva che lavassi quella dell'olio fritto, perche' lo usava piu' volte : ecco perche' ho fatto l'operazione.
E quando sono stata a servizio, il padrone mi ha messo una mano sulla pancia e io ho visto ul diavul....L'e' destino.."
Vaga conosceva quelle storie che Bino chiamava dell'orso , ma ogni volta erano usate in modo diverso e si capiva che Teresa traeva da li' tutte le sue teorie sul mondo, la vita, la morte e l'aumento dell'affitto.
Ogni tanto abbandonava i lamenti per un turbamento improvviso, per qualcosa che rompeva l'ordine di quelle storie e tradizioni : " Ma le dre ammo' scrivi ", diceva . Non si capacitava che la nuora perdesse tanto poco tempo sui calzini del figlio e molto sulla Olivetti portatile.

Teresa era una donna di circa ottant'anni che a quindici aveva lasciato il paese, Resto al Reghena, per raggiungere le sorelle a Borgo Lombardo e poter cosi' lavorare in tessitura.
Si era nel millenovecentoventisette e le industrie avevano bisogno di manodopera. Ando' ad abitare presso una sorella vedova in una vecchia casa del centro storico: vi usciva alle sei di mattina per rientrarvi alle diciotto.
Aveva trovato lavoro presso il Maderna , una tessitura che produceva stoffe per materassi.
Si fece stimare subito perche' era instancabile e sottomessa, senza essere servile.
Stava sulle macchinette e preparava le spole. " La Teresa lavora sempre" dicevano di lei i meccanici e il direttore.
Poi era stata cercata dalla manifattura Dell'Acqua Lissoni per tinger le matasse in filo che servivano per i gabotti che erano i mantelli per i soldati della guerra d'Africa.
Il caldo umido dello stanzone le aveva fatto gonfiar le gambe , ridotte a salama dalle bende elastiche, e lei ogni tanto si sedeva per riposare. Una donna che crepava d'invidia era andata a far la spia dal direttore, ma era stata tacitata e Teresa aveva continuato a sedersi sui subbielli.
S'era anche ammalata di una malattia misteriosa che le dava dolori alle spalle: piu' tardi diagnosticata come pleurite "fatta in piedi".
Poiche' si fidava di tutti e di nessuno , si era legata con ragazze di dubbia moralita' e con loro andava a ballare alle feste degli Arditi , un gruppo di giovani fascisti che volevan scegliere le ragazze dal mazzo.
Li', aveva incontrato il Luisen che bazzicava tutte le sale e al quale, nel veder quella grande ragazza bionda e impacciata, seduta per pomeriggi interi a guardar le amiche volteggiare, si era riempito il cuore di paterno interesse.
Il giovane veniva da una famiglia tribolata: suo padre, cieco dalla nascita, era chiamato il Mozza', forse perche' nativo di Mozzate e con il fratello era cresciuto in un istituto per non vedenti e li' i due avevano imparato a suonar l'armonio e gli strumenti a fiato.
Uscito maggiorenne, s'era dato da fare a cercar moglie. Per campare, girava nelle osterie del Piemonte e della Lombardia e suonava le romanze delle opere che lui conosceva a memoria.
Era molto rispettato perche' riusciva a tirar avanti la famiglia in modo dignitoso
Il fratello s'era unito con una di Borgo che aveva il buzzo degli affari e che s'era decisa a metter su una Casa del Cinema con i soldi presi in prestito dal suonatore ambulante..: il marito avrebbe accompagnato i film muti con l'armonio.
Dopo il successo del cinema, il fratello del Mozza' era diventato geloso della moglie e, caduto in depressione, aveva cercato piu' volte di suicidarsi. Dalla roggia di Parabiago l'avevano salvato e anche dal Villoresi, ma poi lui s'era fatto furbo e s'era buttato in un canale secondario del Ticino, poco frequentato.
Il Mozza' aveva avuto quattro figli: Pierino, Peppino, Luisen, Maria.
Pierino aveva ereditato dal padre la passione per la musica e da ragazzo andava al Bar Adua a suonare e li' aveva conosciuto la madre di Vaga. A Palermo, era stato ucciso in un bombardamento alleato, uno dei tanti, durante la guerra.
Sempre in quel periodo, Peppino se ne era andato a Pordenone a vender brache, ma la fissa per le moto lo tradi': colpito da peritonite, invece di farsi operare, aveva pensato bene di fare una corsetta a casa e quando s'era trovato davanti all'ospedale di Borgo, era ormai troppo tardi.
Maria, invece, era morta tubercola a ventuno anni: era una ragazza pallida e smunta che parlava poco e se ne stava seduta in casa a ricamare biancheria che non avrebbe mai usato. Ricamava e si ricordava del padre ormai morto e che la chiamava " la mia stella" e a cui lei raccontava come era fatto il mondo che lui non aveva mai visto, se non con gli occhi di altri.
Luisen aveva abitato nel cortile del Maia rossa , un fascistone che piu' tardi, alla vigilia della Liberazione, aveva brindato alla vittoria perche' non aveva voluto arrendersi all'evidenza: il motto - Vinceremo! - gli era entrato nel sangue.
Si era poi trasferito nella corte del Peiran in via Lualdi, in un grande caseggiato grigio, riscattato da una torre signorile e dall'acciottolato del cortile di sassi policromi.
Aveva lavorato dal Borri come calzolaio, ma i litigi fra operai l'avevano costretto ad indossar la combinosa del meccanico e a sbavar le fusioni di ghisa dal Comerio.
S'era cosi' fidanzato con Teresa e desiderava metter su casa perche' il padre gli era morto e la madre, malata e vedova, lo trattava da bastardo e gli gridava: " Morirai marcio"
E lui che era sempre stato gentile con le donne si faceva in quattro per accontentarla.
Nel millenovecentotrentanove Luisen venne richiamato e mandato in Corsica, ma poi era finito ad Alba, in attesa che Hitler e Mussolini si spartissero, almeno sulla carta, le zone d'influenza.
Lui nel frattempo aveva fatto le carte e in una licenza lunga s'era sposato Teresa che, il giorno delle nozze, calzava un cappellino a veletta per nascondere l'emozione e per dare un tocco da classe alta alla cerimonia.
La sera prima, la nubenda aveva vegliato la cognata finita all'ospedale per un attacco d'appendicite mentre il cognato Peppino stava a goder da una certa Panscettina.
Teresa era arrivata alla chiesa San Giovanni su una carrozza dei detenuti perche' le altre erano state tutte requisite, in quanto stava per scoppiar la guerra; poi, era passata trionfante su un lungo tappeto rosso che una sposa ricca aveva predisposto per il rito.
Dopo un viaggio di nozze lampo a Milano ella s'era coricata e s'era vista apparir davanti il cognato Peppino che si ravvivava i capelli impomatati davanti allo specchio , con un che di beffardo e di ironico, che aveva fatto salir le coltri fin sugli occhi alla sposina.
Doveva saperla alla lunga sulle donne, Peppino, e forse pensava, essendo il maggiore, d'aver qualche diritto d'asilo
Teresa aveva chiamato il marito che aveva con rispetto pregato il fratello di abbandonare
la camera nuziale e poi aveva dovuto spiegar alla sposa che i figli non nascono dal caldo del letto.
Erano andati ad abitare in vicolo Sant'Ambrogio, che stava dietro alla via Lualdi . Era un caseggiato del milleseicento, con i balconi a ringhiera e il gabinetto posto al centro del cortile.
L'abitazione degli sposi era di sole due stanze al primo piano e l'acqua corrente si poteva prendere dall'acquaio in fondo al ballatoio.
Le piastrelle dei locali erano in cotto e andavano lucidate con la cera rossa perche' risplendessero.
Poi, Luisen era stato chiamato alle armi sul fronte albanese, come fante addetto alle trasmissioni: sui monti c'erano arrivati con i muli, che dovevano essere contati tutte le sere, in quanto valevano piu' dei soldati.
Dopo tre anni di fronte a Luisen erano scoppiate le vene varicose e lui era stato rimandato in Italia e aveva passato molti ospedali militari: era tornato a Borgo con le gambe ricamate da cicatrici. Aveva ripreso il lavoro dal Comerio, che aveva riaperto da poco: era stato costretto a chiudere per qualche anno per non farsi requisire le macchine dai Tedeschi.
Teresa lavorava alla Ernesto Tosi , soprannominata la Savina, per via della donna che organizzava il lavoro delle tessitrici che preparavano la tela per materassi.
Con lei intrecciava le spole la Panscettina, di circa quarant'anni, chiamata cosi' per la tonda pancia che le ballonzolava quando si muoveva. Femmina facile, era stata amica di Peppino a cui aveva concesso grazie e ventre. Non era stato l'unico ad avere i suoi favori e il marito pareva incoraggiare gli incontri, tanto che per ristorar la moglie e l'ospite portava il caffe' d'orzo dopo l'alcova: malgrado l'autarchia, aveva il gusto del servizio completo.
Teresa rimase incinta e il marito decise d'abbandonar il Comerio per procurar cibo alla famiglia che aumentava.
Insieme a Virgilio, un suo vicino di casa, raggiunse le risaie del Vercellese, per fare " il mondino".
Doveva piantar il riso, con l'acqua fin alle ginocchia, senza protezione alcuna.
L'umidita' e le punture di zanzare avevano ridotto le sue gambe ad un colabrodo.
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