Angela Cavelli

psicoanalista e scrittice...
un sito per leggere, sognare, condividere...

Cordova aveva una moschea
sentiva gli arabi sul collo e le trine di Siviglia sulle spalle...
perché la signora sapeva d'essere in cucina
ma non sapeva altro
e non parlava più
di Angela Cavelli

Poesie

pensieri sfuggiti di nascosto,
che diventano...

Domenica 26 Ottobre, 2003
Nel tempo,
tra le ore e la massa
ritroverei volentieri quel punto insoluto.
E a mia madre
che mulinava in tondo
offrirei l'icona
di una pietra nel mare.
Io non c'ero
tra l'uno e nessuno,
ero un numero dubbio,
negativo.
Calcolasti tra l'etere e l'alba
la collina che dava a ponente:
non c'ero.
Tra le amiche di sera,
chiacchieravamo di Te.
Lunedì 27 Ottobre, 2003
Perché se Lui mi fosse indecifrabile
io ne morirei.
Perché se tu non mi permettessi di vivere
io ne morirei.
No, non puoi essere astratto
non puoi togliermi
la passione che mi hai dato,
sarebbe un errore di logica.
Riguardo il tuo viso
sul divano turchese:
perché se tu mi fossi indecifrabile
io ne morirei.
Martedì 28 Ottobre, 2003
E mi accorsi
che non avevo perduto
neppure un attimo della mia vita:
e forse, proprio allora,
ero qualcuno;
e le parole mi sarebbero venute
e avrebbero dato nome alla gioia,
l'avrebbero confermata.
Ella era
non più stralunata, incosciente
volante, pellegrina, viandante,
ma seduta al suo posto,
affermata come possibile:
posso gioire.
E quella gioia, nome e follia!
Aver compreso le parole d'altri,
sempre così misteriose e diverse.
Ignota a me ogni Sapienza era?
In quel momento ebbi nome e Sapienza
e corsi a casa
e feci festa perché l'ora che attendevo
da anni, di pianto, era venuta.
Dolce follia,
che mi hai accompagnato da sempre,
in silenzio.
Non ero nessuno
e, ogni giorno, tutto
mi confermava la mia inesistenza.
E tiravo avanti,
lombarda sapienza,
tra pianti e metropolitane.
Ora il mio delirio ha un senso:
posso delirare.
Le voci che sentivo
e mi cantavano dentro
hanno un nome.
Non sono figlia di nessuno,
non sono né serva né signora,
né candida colomba
tra i vizi della città.
Non ho più bisogno di scriverti,
o Donna Letizia,
né di rincorrere il magico uomo
dal cavallo bianco
che ama
senza chiedere alcunché.
Tu come profeta,
tu come amico,
tu come chi mi raccolse.
Amo ora questo mio delirio,
questa passione, questo canto,
lungo come uno stand da fiera
e magico
come un canto indiano.
In tanti mi hanno calpestata
e io pure.
Ricordo l'altare e i misteri
la mia solitudine al Giro Ciclistico d'Italia.
E le mie ricerche infinite
di ordine,
il disfare e il fare
la casa, la casa di una bambina.
E non trovavo l'ordine in solaio
e l'uomo da scegliere, ma sarebbe l'ora!
E piano piano, proprio piano
perché le voci non scompaiano
sono qui a ricordare quel momento.
A volte il canto mi sorgeva
nell'insicurezza
e le parole dette da nessuno
mi eran sconosciute,
il canto diceva e mentiva:
mancavano le tue parole.
Giovedì 30 Ottobre, 2003
Tra il carpino e l'ulivo
udivo il lamento del principe:
non gli bastavan la cuffia di nassa e l'ocra rossa
a coprire il suono della cava:
né il ricordo dell'arena bianca
o la pietà dei compagni
che speravano comandasse ancora.
Gli ultimi ombrelli,
sul profilo tondo delle alture,
ci vedevano fuggire come Paolo e Andrea,
in cerca di segnali
sui ciappi di ardesia.
Sabato 8 Novembre, 2003
Questa lunga storia di depressione:
questa lunga vita
spesa tormentandoti le mani,
ricordando,
tra membri e stregoni,
che lui non capisce
e che non ama
come te;
che è un povero cristo,
non come te.
Che è un incapace,
non come te.
Questa lunga vita di depressione
ad aspettare,
dietro un'illusione,
che lui riuscisse
a farti diventare
principessa
d'arte e di mestiere.