Fiabe

le fiabe di Angela Cavelli
prendono spunto da quelle classiche

Ecco, ritornerò alla cultura
a quella che ho amata di passione
a quella madre antica e snaturata
che andava mendicando coi bambini.
di Angela Cavelli

Fiabe

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Sabato 2 Aprile, 2011
[...]

“Giochiamo alla rivoluzione su questo bel lettone” propose uno, e un altro aggiunse: ”Così potremo difenderci domani dal Terrore.” I bambini incominciarono a lottare per giocare alla rivoluzione e svegliarono così le bambine che, vedendo lottare gli intrusi a quell’ora della notte rimasero sbalordite e ammirate: loro avevano il permesso di giocare solo quando le oche facevano la pipì. Pollicino a quel punto ebbe un’idea che avrebbe potuto salvare la vita a lui e ai suoi fratelli: “Belle bambine, sono certo che voi non riuscirete a toglierci il cappello.” “E’ qui che ti sbagli” urlò la prima a cui fecero eco tutte le altre. In men che non si dica la voglia di averla vinta delle bambine fu tale che in due secondi s’eran già prese i cappelli dei fratellini. E dopo averli indossati, ormai liberate dall’obbligo di dormire, tutte soddisfatte si addormentarono felici. Le loro coroncine eran rotolate per la camera e Pollicino consigliò i fratelli di appropriarsene e con quelle di cingersi con vezzo regale. Nel cuore della notte, mentre i lupi ululavano, i cervi s’incornavano e le rane gracidavano, l’Orco balzò dal letto; era in preda alla fissa di essere un vero Orco e desiderava dimostrarlo. Si armò di un coltello a sega e salì barcollando nella camera dei bambini. Al buio, a tentoni, si avvicinò al lettone. Pollicino, che batteva i denti per la paura, sentì la manona dell’Orco sfiorargli la testa coronata, poi udì un’esclamazione soffocata: ”Povero me, stavo per sgozzare le mie figliole, i miei gioielli.” Il gorillone tastò di nuovo e sentì i berretti di lana ruvida e sghignazzò: ”Ecco qui i monelli, il mio coltello è così affilato che vi taglierà di netto la vostra gola, così che domani, un poco frolliti, sarete pronti per essere arrostiti teneramente con salvia e rosmarino.” E senza esitare tagliò sette, tenerissime gole; mentre il lettone già s’arrossava per il sangue che colava da sette piccole gole, l’Orco ritornò soddisfatto nella sua camera. Appena Pollicino sentì l’omone russare di nuovo, svegliò i suoi fratelli raccontò loro l’accaduto e disse loro di seguirlo. I piccoli obbedirono tremanti, raggelati dall’odore dolciastro del sangue delle loro piccole compagne e nel più profondo silenzio fuggirono da quella casa di morte e si inoltrarono nella foresta. Corsero e corsero e corsero talmente senza neanche sapere da che parte si dirigevano.L’Orco quella mattina s’era svegliato di buon umore. Andò ad annaffiare le sue piante carnivore che lui curava con amore e con le quali omaggiava le signore Orche, mogli dei suoi amici. Salì le scale con trepidazione e con rosmarino e salvia in mano perché voleva arrotolare le sue vittime così che la moglie potesse cucinarle per tempo. Quando entrò, non capì subito che fosse successo, ma qualcosa al suo occhio torvo, ma vigile, non quadrava. C’erano delle coroncine per terra, come mai? e così si avvicinò incredulo al lettone rosso di sangue fanciullo. E vide le sue piccole dolci bambine con la gola squarciata, gli occhi vitrei e un pallore mortale coprire i loro volti. E tutte eran girate sul fianco destro! “Come eran brave e precise, come un orologio e ora non ci sono più. No, orrore, orrore, Dio è ingiusto, non si uccidono i figli, solo gli altri, ma i figli son pezzi e core, anzi d’orologio” pianse l’ultimo degli uomini di Neanderthal. Cieco di rabbia e di dolore raggiunse l’Orchessa che, ancora assonnata e con un sorriso beato sul volto perché in sogno le era apparso il suo omone che le regalava sette piccoli crisantemi e lei s’era tutta inorgoglita, gli sussurrò, buttando uno sguardo rubato alla triglia: ”Che hai tanto da urlare, mio bel cavaliere; anche un Orco può rendere felice una donna!” “Sarò felice solo quando acchiapperò quei maledetti, dammi gli stivali delle sette leghe che voglio inseguirli per terra, per mare, per cielo.“ “Saran fuggiti e che sarà mai!” disse la donna ancora sognante consegnando i magici stivali al marito. L’Orco calzò quegli stivaloni e si mise in cammino. Correva a destra, a sinistra con grande rapidità, attraversava montagne con un solo passo e fiumi con un saltello, tanto che in un batter d’occhio s’era già messo sul sentiero che i bambini percorrevano e che dopo cento passi li avrebbe riportati a casa. I fratellini lo videro avvicinarsi e tutta la vallata fu scossa da un rombo simile a quello del tuono, perché dove passava l’Orco sradicava alberi e travolgeva ogni cosa. Pollicino, che tanto osservava, s’accorse di una caverna e consigliò ai fratelli di nascondervisi. Lui si fermò sull’ingresso per tenere d’occhio l’Orco. Questi, malgrado i magici stivali delle sette leghe, si ritrovò stanco e desideroso di riposo e si sedette tra i fiori, proprio vicino al luogo dove erano nascosti i fratellini. “Filate a casa mentre l’Orco dorme, io rimarrò. Non state in pensiero per me. Me la caverò e bene!” I sei fratellini arrivarono a casa e papà e mamma li accolsero a braccia aperte. “Dov’è Pollicino?” urlò la madre disperata, lasciando cadere dalle sue mani un romanzo intitolato: “Il destino una volta sì e una no si può cambiare.“ “E’ rimasto con l’Orco” risposero i bambini. “Poveri noi disgraziati, povero il nostro figliolino che ci faceva tante domande che ci aiutavano a pensare!” aggiunse la madre, mostrando occhi cadenti da madonnina infilzata. Essi certo non immaginavano che stesse facendo Pollicino. Il bambino, vedendo l’Orco dormire così della grossa, tanto che il suo russare e soffiare facevano volteggiare vorticosamente foglie, fiori, ricci di castagne, rami e funghetti e alzavano un tale polverone che pareva d’essere al centro di un ciclone, decise di levargli gli stivali delle sette leghe. Mentre se li infilava pensava che sarebbero stati troppo grossi per lui che aveva il diciannove di piede, ma gli stivali invece gli calzarono a pennello perché avevano il potere di adattarsi a tutti i piedi. Pollicino attuò così il progetto che gli era balenato improvvisamente. Ritornò in un battibaleno a casa dell’Orco e piombò nella dimora proprio nel momento in cui l’Orchessa stava preparando la colazione, e, felice, cantava l’Aida ancora ignara di quanto era accaduto alla sua prole. “Vostro marito è in pericolo. Dei ladri l’hanno aggredito e sequestrato: voglion tagliargli prima l’orecchio, poi l’appendice e infine la gola e allora lui mi ha ordinato di calzare gli stivali delle sette leghe per far presto e venir qua a prendere tutto l’oro, l’argento, i talleri, i BOT, i CCT, le azioni per pagare i briganti e salvar la sua pelle e la sua appendice a cui tiene molto. Non perdiamo tempo, ogni minuto è prezioso, i sequestratori possono arrabbiarsi e dar mano a forbici, mazze e seghe!.” L’Orchessa prese tutti i suoi beni, li mise in ventiquattro ventiquattrore e consegnò il tutto a Pollicino che, carico, ma ricco e felice, prese la via di casa. Prima però si fermò vicino alla caverna dove si trovava l’Orco ancora dormiente, il quale aveva la testa degna del pennello di Arcimboldi, tanto era ornata di frutta e verdura e profumata di pino silvestre Vidal. Lo arrotolò con spago per arrosti e poi chiamò il Corriere Reale che fece trasportare il bestione su un carro trainato da cento buoi scampanellanti e lo condusse così alle prigioni dove era molto atteso, perché ricercato dall’F.B.I. (Federazione Bambini in Insalata.) L’Orco appena si svegliò non potè che lanciare un urlo sciamannato: ”Voglio il mio avvocato!” Pollicino potè finalmente tornare a casa. Non vi dico la meraviglia dei suoi genitori e dei suoi fratelli nel vederlo carico di beni. Tutti lo accolsero con grida di gioia e di stupore. “Come vedete il destino non è scritto nelle stelle e sono certo che anche i bambini non nascono sotto il cavolo cappuccio o tra l’insalata riccia!” La madre andò incontro all’intraprendente figliolo poi, dopo aver nascosto tutte le ricchezze sotto il materasso roso dai topi, lo abbracciò. Pollicino sorrise e capì subito che quella ricchezza sarebbe svanita in breve tempo perché i genitori, da buoni paesani, non avrebbero cambiato le loro vedute ristrette e sarebbero rimasti preda di imbroglioni, spiritualisti e comicoterapeuti. Allora si decise a cercare un tutore perché garantisse un futuro ai suoi fratelli e li aiutasse a coltivare le loro capacità. Li iscrisse a scuole prestigiose perché avessero un posto degno nel mondo. E lui che fece? Lasciò la sua famiglia che comunque gli stava stretta e si recò a Corte. Quando vi arrivò, esclamò: ”Finalmente qui potrò fare qualcosa e non solo pensare a come sopravvivere. Il mio regno comincerà qui.” Aveva saputo che l’esercito reale stava combattendo una battaglia decisiva in un luogo distante duecento leghe. Tutti erano in ansia perché non si avevano notizie certe. Allora Pollicino propose al Re: ”Maestà, se lo desiderate, io posso farvi sapere l’esito della battaglia prima di sera.“ Prima di sera? Prima che si faccia buio? Prima che arrivi la luna, che il cinghiale s’arrischi tra le case e la civetta lanci il suo “Quick Quick”? Ti farei ricco, ti inonderei di monete d’oro, ti manderei in vacanza dal Sultano del Brunei se tu fossi veramente capace di questo! Ne va del mio esercito e di conseguenza del mio regno! Che diranno i miei sudditi e i miei collaboratori se non riesco neppure a sapere l’esito di una battaglia?” “Lasciate fare a me, questo sarà lavoro mio” rispose Pollicino e partì come un razzo, calzando gli ormai noti stivali delle sette leghe che gli permettevano dieci marce in più, così prima di sera il Re ebbe le notizie e Pollicino la sua grande ricompensa e un incarico: diventare il corriere del Re per tutta la vita. Così Pollicino, dopo che i fratelli ebbero terminati gli studi prestigiosi ed ebbero avuto col suo aiuto delle cariche importanti a Corte, potè tirare un sospirone di sollievo. Con grande stupore ricevette una lettera dalla madre che così gli diceva: ”Voglio diventare corrispondente estera, imparare il francese e l’inglese e girare il mondo. Leggendo ”Il gatto con gli stivali” m’è venuta questa idea. Ti abbraccio, tua madre.” Poi fu la volta del padre che lo informò di aver aperto una falegnameria per produrre stuzzicadenti per la Casa reale. Pollicino gongolante schiacciò un occhio e cantò: ”Vi ho sfidato, o stelle!”
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