Fiabe

le fiabe di Angela Cavelli
prendono spunto da quelle classiche

Io non c'ero
tra l'uno e nessuno,
ero un numero dubbio,
negativo.
di Angela Cavelli

Fiabe

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Lunedì 31 Maggio, 2010
Da "IL GATTO CON GLI STIVALI" di Perrault
a “IL GATTO CON GLI STIVALI di Angela Cavelli
Un onesto mugnaio, che aveva lavorato duramente per tutta la vita, quando morì lasciò ai suoi tre figli una ben misera eredità: il mulino, un asino, un gatto.
“Sono il primogenito, il mulino è mio” enunciò il fratello maggiore.
“Sono il secondogenito, l’asino è mio” affermò il mezzano.
Il gatto udiva tutto, ma preferiva stare sdraiato al sole. Quelle storie, le solite, gli venivano a noia.
Il figlio minore stava davanti ai fratelli e non apriva bocca. Lui era l’ultimogenito e il suo destino pareva segnato: la sua parte di eredità non lo soddisfaceva per niente.
Ad un certo punto, vedendo i fratelli andare ad appropriarsi dei loro beni, incominciò a lamentarsi:
“Come sono disgraziato! Come sono sfortunato! Come sono sfigato! Non mi resta neppure una merendina! Il Mulino bianco e l’asino se li sono presi i miei fratelli e se la mia eredità è solo questa, cioè un micione infarinato, la mia sorte è segnata. M’arrostisco il gatto, con la sua pelle mi cucio un manicotto e poi non mi resterà che morire di fame seppur con le mani al caldo. Che malasorte mi è toccata, eppure quando ero bambino godevo così tanto d’essere al mondo che mi pareva impossibile si potesse fallire! Mi ricordo che quando ero piccolo chiedevo a Tonio, nostro vicino, di portar in giro le oche e così le conducevo a passeggio per il Corso, chiuso al traffico dalle 8 alle 18, tenendole al guinzaglio: queste starnazzavano talmente forte che tutti i bottegai uscivano e mi regalavano focacce, pandolce, fragoline e il gelato della Sorbetteria di Ranieri perchè mi allontanassi il più in fretta possibile; e poi, alle feste della Cuccagna, mentre tutti stavano a dar colpi alle pentole, io chiedevo a Giarrettone il bovaro di poter far compagnia alle mucche rimaste sole e così queste mi pregavano con gli occhi di sgravarle da quel latte che appesantiva le loro mammelle e con i loro muggiti mi chiedevano di berlo e di dir loro quanto fosse buono! Una volta un toro si ingelosì e così io pensai bene di farlo uscire e lui finì proprio nel campo della cuccagna e tutti fuggirono. Per fermarlo, io salii sulla sua groppa e così mi trovai tra le mani i doni succulenti dell’albero della cuccagna! Era vita quella e soddisfatta! Era come stare in Paradiso, ora invece... Almeno i miei fratelli possono fare una società in accomandita semplice e con il mulino e l’asino guadagnarsi da vivere, forse, perchè, a ben vedere, pagando lVA, IRPEF, 710, 720, 730 e 740, ma anche 750 e seguenti, e poi ancora la tassa per la costruzione del Canal du Midi, già da anni ultimato, ma nessuno lo dice, a loro resterà solo di che vivere stretto stretto. Che brutta sorte mi aspetta, che brutta!”
Il gatto, pur tra tante parole, aveva distintamente udito la povera fine che avrebbe presto fatto e allora, vedendosela brutta, parlò:
“Sentiii, ma...” disse, (il gatto era un appassionato di Mai dire pelota) “la sorte non è stata così crudele con te e te lo mostrerò. Non perchè piove, vuol dire che ti vada male!”
Il giovanotto guardava sbalordito il gatto che gli andava dicendo che c’era di che sperare! E allora gli vennero in mente le parole di un eremita che vendeva erbe amare e che faceva scappare i bambini, i quali gli lanciavano sassi e gridavano ”Dagli al Nullista!”. Era uno che girava nudo come un verme perchè diceva che in principio c’era il niente, che noi nasciamo malati, brutti, indegni e scemi e perchè no, sporchi. In effetti a guardare lui sembrava quasi vero. Malgrado questi gotici pensieri, il fascino delle parole del gatto avevano fatto risvegliare il giovane al quale sembrò davvero ci potesse essere una soluzione ai suoi problemi.
“Sentii, ma..” riprese il gatto ”ora ti parlerò di economia..”
“Di ecografia?...” gli fece eco il povero giovane tutto frastornato.
“Eh, sì, l’Ussl n° 8 è in sciopero, ripassi domani... no, no, ti parlerò di economia...Vedi, i tuoi fratelli si stanno accontentando, vivranno in un regime economico di sussistenza, cioè dello stretto necessario, tu non vivi neppure in quel regime, ma in quello della miseria..”
“Del morto di fame? Hai proprio ragione.”
“E allora ascoltami: Il tuo pensiero si ferma al fatto di farmi arrostire e basta e non va più in là. Io ti mostrerò che è possibile in mia compagnia vivere nella ricchezza. Il tuo pensiero è strozzato dalla paura dell’incognito e dalla logica della povera eredità di tuo padre. Sei un paesano e pensi che non hai nulla da far fruttare. Devi infischiartene di questo perchè io ci sono e per me non esistono limiti alle possibilità. Bisogna fare man bassa di tutto l’universo, qualsiasi cosa è alla portata delle mie zampe recipienti, ricettive, riceventi. Mettimi al lavoro e vedrai!“
“Che metodo userai per farmi diventare ricco? Lo strutturalismo?”
“Mi stai dando del Cartesio e d’altro ancora? Con la noia non si diventa ricchi e non si affascina nessuno. Ti hanno diseducato a scuola su ciò che è facile e su ciò che è difficile. Tu sbagli e proprio su ciò che che è alla portata di mano, anzi, di zampa. Io ho dei mezzi di produzione dei beni: il pensiero e il mio corpaccio di gatto soriano che sarà soddisfatto quando avrà raggiunto i suoi scopi. Io userò la mia tecnica e tratterò tutto ciò che mi sta intorno con questi mezzi per il mio e per il tuo beneficio.”
Il giovane si arrese e acconsentì perchè si fidava del gatto, il quale sapeva inventare di tutto per cavarsela, e bene, in qualsiasi occasione e così gli procurò quel che chiedeva: un paio di stivali e un sacco, gli augurò buona fortuna e lo lasciò partire.
Il gatto si diresse alacremente verso un bosco dove vivevano famiglie di conigli selvatici.
Sapeva della furbizia e della velocità dei conigli e allora mise nel sacco crusca ed erbetta saporita e attese, facendo il morto.
E così un inesperto coniglietto entrò nel sacco e il gatto subito lo fece secco.
Poi si diresse al palazzo reale e chiese di parlare con il re in persona. Venne subito accontentato perchè non capitava tutti i giorni di vedere a corte un gatto che chiedeva udienza.
Alla presenza del sovrano si scappellò e si inchinò. Il sovrano assomigliava a Sean Connery e la sua reggia era di un tale splendore che il gatto dovette infilarsi gli occhiali per non rimanere accecato.
“Maestà, il Re Sole non splende come voi. I vostri abiti sono così bianchi che più bianchi non si può e il vostro mantello ha mantenuto i colori della porpora e non si è infeltrito come quello di un sovrano che conosco io, il quale sbaglia sempre di detersivo! Voi sì che ve ne intendete! Ora, Maestà, bando agli spot, il marchese di Carabas, mio padrone, mi incarica di offrirvi in omaggio questo delizioso coniglio selvatico, catturato nei boschi di sua proprietà.
Il re, arcinoto ghiottone, apprezzò il dono e ne diede subito ricevuta, pregando il gatto di ringraziare il suo padrone. Egli, da vero sovrano, aspettava che i suoi sudditi gli rendessero onore per poter così dare loro la sua protezione e subito riconobbe il merito del marchese.
Qualche giorno dopo il gatto si presentò di nuovo al re con due pernici. Il re applaudì al marchese e andò in visibilio perchè gli importava averlo come alleato.
Il gatto, nei mesi che seguirono, lavorò con impegno: stava all’erta in ogni luogo e con i suoi sensi coglieva ogni piccolo movimento del bosco: poi metteva in atto ogni stratagemma per acchiappare la preda e così portarla al re, facendo sempre notare che quei doni provenivano dalle riserve di caccia, dai boschi o dalle tenute del marchese di Carabas.
In cambio riceveva mance che permettevano al suo padrone e a lui di non morire di fame.
“Ma che Carabas e carabattole! Io non sono marchese e il mio nome è Berto, figlio del mugnaio del Mulino bianco” disse un giorno il giovane, in evidente stato di confusione.
“Tu non sai quel che dici! Il tuo stato non c’entra con il fatto d’esser figlio di un mugnaio, il tuo stato è determinato solo dall’essere figlio. E dunque, poichè tuo padre è ormai passatello, per non dire trapassato, non hai che da rinunciare alla tradizione del pidocchio rifatto che la tua famiglia si tramanda: io sarò per te il padre al futuro, perchè ti farò erede di una fortuna che neanche immagini. Con il mio aiuto diventerai davvero un ricco marchese!”
“Par quasi mi stia spuntando una corona e mi stia ritornando la memoria: mi sembra d’esser tornato bambino, quando pensavo proprio che sarei diventato principe, e poi anche Governatore della Galizia e magari Cavaliere della Tavola Rotonda” declamò Berto, stupito dalla scoperta.
Poi però aggiunse: “Ma io non ne sono capace. Io, ad esempio, non conosco i filosofi: Kant e Kierkegaard mi fan venire il latte alle ginocchia, come potrò parlare col re?”
“T’han reso scemo due volte, non ti hanno insegnato niente! Primo: per poter parlare non serve conoscere Kant e Kierkegaard, basta aver la lingua in bocca! Secondo: hai detto bene, non conosci questi filosofi. Per forza, non ti hanno mai fatto leggere una riga di quello che questi hanno detto, ma li conosci solo per quel che han detto gli altri di loro. Così non sai che soluzioni han dato alla loro vita. Ad esempio, Kant dice che c’è la ragion pratica e la ragion pura...”
“Ma io so solo ragionare sulle cose che vedo e sento, so dire se mi interessa, se mi serve, se mi va bene, come faccio ad affettare la ragione? Figurati poi a renderla pura, mi toccherà usare la candeggina!” rispose il giovane sconsolato.
“Appunto, si tratta di questo, non esiste che il pensiero legato alla realtà.”
“Ma allora sono un filosofo e posso parlare col re.”
“Te lo ridico: te l’han fatta sporca perchè ti hanno fatto credere che per poter parlare bisogna conoscere i filosofi!”
“Sto diventando curioso: e Kierkegaard?”
“Vuoi sapere cosa ha detto? Mi sembra di capire che desideri aumentare la tua competenza. Mi trovi d’accordo, si tratta anche qui di ricchezza. Ti dirò che è uno che dice così: che vi sposiate o non vi sposiate, ve ne pentirete!”
“Ma ha la prostata?” chiese il giovane.
“No, i pidocchi e si sa che i pidocchi fanno pidocchi!”
“Ma non si rende conto che perde un socio in affari?”
“Preferisce rinunciare e non scegliere. Ha paura dell’incognito e vuol farcela da solo.”
“Se sua madre non avesse scelto un uomo lui non sarebbe nato.”
“Già.”
Un giorno il gatto, uscendo dal palazzo reale, sentì due servitori che parlavano tra loro.
“Domani il re andrà a fare una passeggiata in carrozza lungo il fiume, insieme alla principessa sua figlia, la più bella del reame.”


(continua...)
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